IL 2005, L’ANNO DELLE GRANDI SCOPERTE ARCHEOLOGICHE DI FABIO MATACCHIERA
(Qui altri ritrovamenti – anno 2016)
FABIO MATACCHIERA RINVIENE RARISSIME ANCORE BIZANTINE RISALENTI AL X-XII SEC.d.C.
VIENE CONFERMATA LA TESI CIRCA LA PRESENZA DI UN VASCELLO BIZANTINO SUI FONDALI IONICI
Le quattro ancore, rinvenute insieme ad altri oggetti che saranno meglio studiati dagli esperti della Soprintendenza Archeologica della Puglia, facevano parte del carico di una nave bizantina che è affondata nelle acque di Taranto. La scoperta archeologica non ha finora precedenti analoghi nel nostro mare e risulta di straordinaria valenza, dato che la similitudine con altri ritrovamenti dello stesso tipo è riferibile a soli 2 casi in tutto il Mediterraneo. La sua scoperta ha assunto notevole importanza grazie alle acute intuizioni del Prof. Mario Lazzarini, noto archeologo subacqueo tarantino, che, dopo aver esaminato foto e filmati di Fabio Matacchiera e dopo aver effettuato studi in merito, ha rilevato con certezza la tipologia dei reperti rinvenuti e la loro origine. Questo ha permesso di capire che il sito di rinvenimento corrisponde a quello dell’affondamento di una nave del X – XII sec. d.C., i cui resti si trovano sui fondali della litoranea salentina, sotto i reperti e nei dintorni di essi.
Disposizione grafica delle ancore ritrovate da Matacchiera sui fondali jonici
Nello specifico, la scoperta di Fabio Matacchiera riguarda 4 ancore a forma di Y rovesciata adagiate sul fondale marino, una vicina all’altra, con due di esse addirittura sovrapposte. Le 4 ancore erano quelle di riserva situate sulla coperta della nave a cui appartenevano. Durante e dopo l’affondamento, queste ancore di riserva, che erano, come consuetudine, legate e sistemate sulla coperta della nave, sono rimaste vicine ed in parte sovrapposte, mantenendo pressoché identica la posizione che avevano durante la navigazione. Con un po’ di riflessione e con le acute interpretazioni del prof. Lazzarini, si deduce che le ancore non furono perse casualmente, magari per la rottura delle catene, dei fusi o degli anelli che le assicuravano alla nave. Deve essersi verificato qualcosa di più grave. Infatti, le ancore scoperte da Matacchiera sono troppo vicine tra di loro per essere state buttate in mare volutamente allo scopo di rallentare o fermare il movimento del natante. Inoltre, mancano i ceppi di ferro che si infilavano nel foro superiore del fuso: questi infatti si mettevano in opera solo al momento di usare l’ancora. E’ quindi probabile che fossero custoditi separatamente in coperta. L’assenza dei ceppi ci fa comprendere che quelle ancore sono finite in mare quando non erano operative. Di conseguenza, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che la nave che le trasportava sia affondata con tutto il suo carico e che parti di essa giacciano ancora sotto le ancore e nei dintorni.
Ricostruzione grafica della nave bizantina di Taranto
In passato, infatti, Matacchiera ha denunciato alla Sovrintendenza Archeologica della Puglia la presenza di queste strane strutture, ma in quella occasione, non fu intuita l’importanza della scoperta, sia per i pochi elementi fino ad allora raccolti, sia per la rarità di reperti simili nel Mediterraneo. Fino a due decadi fa, le ancore a Y rovesciata erano ancora sconosciute e quando sono state trovate si è pensato che fossero di un tipo usato dalla marineria musulmana. Ora sappiamo, invece, che sono state usate anche su navi bizantine. Il ritrovamento, che ha consentito di scoprire ciò, riguarda la nave di Serçe Limani lungo la costa turca dell’Egeo, proprio di fronte all’isola di Rodi. Quando la nave è affondata, forse agli inizi dell’XI secolo della nostra era, trasportava 9 ancore di ferro. 5 erano di riserva, fissate una sopra l’altra sulla coperta, le altre 4, invece, erano pronte sulla prua della nave per essere utilizzate 2 a babordo e 2 a dritta. Le ancore di Serçe Limani sono costituite da ferrodi tipo sottile e per compensare la loro leggerezzaera pratica normale utilizzarne 2, 3 o anche 4 simultaneamente. Il riferimento alla navebizantina di Serçe Limani è determinante perché ci fornisce delle inequivocabili certezze sulla importanza e sulla originalità del rinvenimento nel mare di Taranto. La nave dell’Egeo era un “due alberi” della lunghezza di 15 metri, della larghezza di 5,3 metri e con una capienza di carico di circa 30 tonnellate. L’affondamento avvenne su un fondale sabbioso e, per questo, buona parte del fasciame e del carico è potuto arrivare fino ai giorni nostri per essere studiato, ricostruito e conservato gelosamente presso il Museo di Archeologia Subacquea di Bodrum in Turchia. Il carico della nave conteneva anche ciotole, anfore, pentole, reti, oggetti per la pesca, alcune monete d’oro e di rame, una piccola quantità di monili, qualche anello d’argento, una spada, pezzi di ricambio, utensili, attrezzi di carpenteria e di calafataggio.
E’ ormai evidente l’analogia fra la nave di Serce Limani e la scoperta da Fabio Matacchiera nel mare di Taranto. Ad avvalorare ancora di più la presenza dei resti di una nave nella zona in questione, si aggiunge il fatto che Matacchiera ha individuato, in quel medesimo sito, cocci e grossi ciottoli levigati, estranei alla natura del fondale e che potevano servire per zavorrare la nave e per renderla più stabile durante la navigazione. Il segreto delle ancore è questo: sono identiche nella forma, pur se più grandi nelle dimensioni, a quelle della nave di Serçe Limani e testimoniano quindi, insieme alle altre, l’affondamento di una nave bizantina, più o meno nella stessa epoca ma ancora più grande.
ALCUNI RESIDUATI BELLICI SCOPERTI DA MATACCHIERA
ALTRE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NELLE ACQUE DI TARANTO
Utilizzando, dunque, svariati metodi di esplorazione subacquea, Fabio Matacchiera ha potuto rinvenire numerosissimi reperti archeologici, anche di pregevole valore e che oggi si trovano presso il Museo Archeologico di Taranto. La maggior parte dei reperti sono stati recuperati dallo stesso Matacchiera in presenza delle forze dell’ordine e dal gruppo sommozzatori della Sopraintendenza Archeologica di Taranto. Nella foto, in basso sulla sinistra, si può osservare un rarissimo ceppo di ancora greca (nel Mediterraneo ne sono stati trovati solo pochissimi esemplari come questo e la scoperta è stata molto apprezzata dagli esperti del settore). In particolare, questo ceppo litico è stato rinvenuto da Matacchiera sui fondali antistanti la litoranea salentina (Marina di Pulsano).
Nella foto, a sinistra, Fabio Matacchiera, insieme ai sommozzatori della 17^Legione della Guardia di Finanza di Taranto e a due sub della Soprintendenza Archeologica di Taranto, recupera il ceppo litico di ancora greca che è stato datato al V-IV sec. a.C., utilizzando un carniere ed un pallone di sollevamento. Sempre nella stessa zona, a testimonianza di un presumibile affondamento di un’imbarcazione greca, Matacchiera, questa volta, in collaborazione dell’archeologo Giovanni Marzia e alla guida dei sommozzatori dell’Associazione Caretta caretta, ha rinvenuto, in più riprese, altri oggetti di notevole interesse storico come piatti, pestelli, piccoli pesi di pietra per le reti da pesca ecc. (vedi foto sottostanti). Tutti gli oggetti in questione sono stati recuperati e sono custoditi presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Taranto
Le foto sottostanti ritraggono anche uno degli anelli in piombo, rinvenuti da Matacchiera e Marzia, messi a confronto con un riferimento lineare colorato. Si noti il taglio sullo stesso anello che serviva per aprirlo e per chiuderlo, in modo da consentire di legare e sciogliere le funi e le vele.
Numerosi sono anche i reperti archeologici di epoca romana rinvenuti da Fabio Matacchiera nelle acque di Taranto. Si ricordino, per esempio, alcuni ceppi di ancora romana in piombo del peso variabile da alcuni chilogrammi a svariati quintali.
Sempre nel 2005, Fabio Matacchiera effettua un altro ritrovamento che riguarda un tipo di ancora romana diversa rispetto a quelle finora rinvenute nel nostro mare. Essa, infatti, è tutta in ferro e non in piombo, con sezione circolare e i suoi due bracci formano un arco perfetto. Questo fa pensare che trattasi di un reperto romano meno antico, ma, comunque, collocabile nel tempo intorno al III sec. d.C. Il fuso risulta spezzato ed il ceppo, anch’esso di ferro, risulta mancante; tutto questo fa supporre che la antica nave, di probabili 20 metri, si sia trovata in difficoltà, forse in balia del forte scirocco e che, per non finire sulla costa, abbia presumibilmente dato fondo all’ancora che poi ha perso per il cedimento del fuso. Questo ennesimo ritrovamento ci dà la conferma che il mare di Taranto è stato importante crocevia di antiche imbarcazioni.